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Benvenuto, Carlino! Ho appena visto la tua ricetta…buonaaaaaaaaa!
@carlino wrote:
Io proverei un po’ di paura e di ribrezzo per questi anelletti siciliani che cuociono in due minuti. Sei sicura? Fossero anelletti per pappine per neonati o di grano tenero provenienti dalla Germania o dalla Turchia?
No, era un prodotto “di nicchia” di produzione artigiana sicula, come dicevo, comunque, non devono cuocere ma risultare, alla prima cottura “molto“al dente…quelli che ho adoperato io questa volta ( non mi ricordo la marca ed ho fatto omaggio alla mia ospite del mezzo sacchetto di pasta rimanente) hanno richiesto almeno 5 minuti.
Quanto al ribrezzo sono una donna forte: ho assaggiato persino il serpente! 😆 😆Vedo ora la richiesta di Ivana circa il nome della torta.
Rispondo per quello che ne so io, ma forse ci sono altre scuole di pensiero.
Credo che la ricetta originale provenisse da uno di quei magici libricini (nonna ne aveva uno) omaggio, non ricordo se della “Pane Angeli” o “Bertolini” e non so se, all’inizio avesse proprio per nome “Bilbolbul”o “Torta Africana”.
Erano comunque i tempi della guerra d’Africa ed il colore della torta ricordava quello degli abitanti delle allora colonie. Sempre in quel tempo
sul “Corriere dei piccoli” c’erano le storie a fumetti di un negretto delle colonie, un certo Bilbolbul perlappunto, e da lì credo avesse tratto ispirazione l’autore della ricetta.
Posso aggiungere che da piccolissima mi beavo nel sentirmi leggere i vecchi “Corrierini” e mi è rimasto in mente uno spezzone…”nel domestico tukul ruba un uovo Bilbolbul” fatto che io avevo associato alla mancanza di uova nel dolce! 😆@nonna Ivana wrote:
scusate……ma questa ricetta si può fare anche con una semplice mozzarella, o anche la ricotta…o non ci ho capito niente????
…poi mi spiegate anche la partita del sale rosa…altrimenti mi sembra di essere sbarcata su Marte!!!!
Ciao… 😳 😳 😳
Ivana
Ivana, direi di no, non credo si possa fare con la mozzarella o la ricotta o un altro formaggio, la mozzarella fonderebbe e farebbe il filo, inoltre sarebbe molto più calorica, la ricotta penso che si “spiaccicherebbe” invece il tofu rimane in fettina o cubetti, se mi consenti il paragone “come se fosse di plastica” 😯 be’ era solo per rendere l’idea!
Quanto alla faccenda del sale rosa, o sale dell’Himalaya, a quanto pare Mariangela si ricorda di una mia avventura in un mercato a Monaco di Baviera allorchè, tentando di decifrare i germanici nomi di tutta una serie di spezie, con compiaciuti “questa ce l’ho, questa ce l’ho”e con rapide immissioni nel cestello, all’uopo fornitomi, di semi di senape in varie sfumature di colore, sedano in polvere et similia ho trovato un qualcosa di così mitico che, al confronto l’estasi di Parsifal davanti al Santo Graal era paragonabile ad uno stato catatonico…: ho trovato un sacchettino di grossi rosati cristalli di sale dell’Hymalaia.
Mi sarei messa a ballare per il mercato…che poi mi chiedo cosa me ne farò mai…mica avrò il coraggio di sbriciolarli, mescolarli al cibo, deglutirli…capperi, sarebbe come triturare il Ko hi noor e masticalo come cewing goom(considerato anche il prezzo, dice mio marito).
Mi sto ancora chiedendo chi su uno dei forum di cucina, che mi ostino a frequentare, sia stato a mettermi questa pulce nell’orecchio…e mi domando, anche di quale altro bisogno indotto sarò vittima continuando a frequentarli.
A tutt’oggi ignoro l’uso del prezioso sale, lo tengo in un sacchetto a fianco dei libri di cucina ed ogni tanto me lo guardo!@alexanna wrote:
@paula wrote:
Perchè c’è gente così “carina ” che si diverte a scrivere la metà
non scrivono la metà diciamo che dimenticano qualcosa
non le danno complete perchè si sentono grandissime
loro non sono nei forum per condividere, per rilassarsi, per perdere tempo, per farsi una risata se è il caso
ma sono sui forum solo essere adulate ed esibirsi e ce ne sono tantissime, molte più di quanto si pensiil discorso vale per le brave quelle che sanno quello che scrivono e non lo scrivono ..
ad essere precise più che non scrivere in genere omettono 😉meno male che hai precisato per chi vale il discorso 😆 😆
Per un momento mi son sentita sprofondare al pensiero che avevo dimenticato la dose della zucchero nella ricetta della torta Paradiso 😥 😥 ma dato che non faccio parte del firmamento delle star dei forum di cucina,bensì del gruppo di quelle che cercano di svagarsi e condividere, la cosa non mi riguarda, ho chiesto scusa, ho corretto, se volete mi inginocchio pure sui ceci…ma per non più di 3 minuti 😆 😆@mariangela wrote:
@gaviota argentea wrote:
@admin wrote:
Sull mia tavola è arrivato tramite un’amica fanatica della macrobiotica ed un figlio con tendenze vegetariane e poi se state a guardare me…io provo le cose più stravaganti per pura curiosità. Per esempio avete mai sentito parlare dei fagioli Urid? ne ho un bel pacco da smaltire
😯Ed il sale rosa dove lo metti……. 😆
visto che ho imparato a mettere le foto…eccolo il sale rosa! 😉
[img]Ivana, ma allora, secondo me ti potrebbe andar bene la mitica torta Bilbolbul, senza uova, senza grassi…il cacao amaro credo sia compatibile con le restrizioni..c’è lo zucchero, ma…
ora la cerco e la posto.Ohhhhhhhhh 😳 😳 che figura, mi ero dimenticata la dose dello zucchero…ora l’ho aggiunta. Scusate.
in realtà, Ivana, le proporzioni sono le stesse nelle due ricette, in quella della zia c’è un po’ più di fecola e c’è il lievito…un aiutino segreto per non rischiare il “Purgatorio” più probabile con la ricetta classica che, come per il pan di Spagna non lo prevede.
Il cavolfiore che uso io è come quello di Alexanna, qualche volta ho la fortuna di averne a disposizione uno appena colto di una mia amica con orticello.
Quelli a pinetto qui li chiamano”romani” ma non si vedono tanto spesso.grazie a tutte di queste notizie così interessanti e di tante dritte per migliorare le nostre “imitazioni” 🙂
in realtà erano così
ehi! ci son riuscita!
Continuiamo a farci del amle?
Questa è solo di qualche mese fa.Sulle orme del dottor Doolittle
ve lo ricordate il film? Non la grossolana farsa con Eddie Murphy, ma quello dal raffinato humor inglese con Rex Harrison, un simpaticissimo musical fine anni sessanta in cui un veterinario parte alla ventura alla ricerca del mitico “Gasteropodone Rosa”.
A parte il fatto che avrei anch’io tanta voglia di fuggire l’umano consorzio alla ricerca di esseri mitici, non m’è servito andar poi tanto lontano per emulare il favoloso dottore.
Io sono semplicemente entrata in un negozio di specialità, nel corso della mia ultima puntata a Napoli, ed ho fatto mio un pacco di lumaconi Setaro. Erano lumaconi di notevole stazza …”almeno così non mi devo impazzire a ficcarci dentro il ripieno col cucchiaino della bambola!” ho pensato.
Poi, confesso, ho dimenticato il pacco nel ripostiglio/dispensa per un po’, avevo comprato anche i paccheri ed ho usato quelli.
Finché una sera , stanca morta per mille altre vicissitudini, a tarda ora mi decido a preparare i cospicui gasteropodi in vista di un pranzo con ospiti per il giorno successivo, domenica.
Penso tra me che domani terminerò la cottura ma intanto mi “avvantaggio”e spero soprattutto di far bella figura con la mia ospite, una che di cucina non si interessa più di tanto (…anzi molto meno!) ma è ipercritica ed io voglio “epater la bourgeoise”
Ho appena cucinato dei carciofi, decido di usarli per il ripieno e comincio a preparare la besciamella mentre faccio bollire l’acqua per dare una prima scottata alla pasta…
D’accordo, solo una scottata, ma, dopo pochi minuti, guardo nella pentola e mi par d’essere stata proiettata in un film dell’orrore, di quelli, per intenderci con i maxibaccelli provenienti dallo spazio che si sviluppano alla velocità della luce. Le dimensioni dei lumaconi stanno divenendo inquietanti. Io poi, stupidamente non li ho pesati, come faccio di solito con la pasta per regolarmi, ma contati, non ricordo se 4 o 5 a testa …solo che non avevo previsto un indice auxologico di tale livello. Prima che le mostruose entità trabocchino dalla pur capace pentola provvedo a scolare la pasta. Quando verso su un vassoio il contenuto dello scolapasta i lumaconi son ancora così crudi che tintinnano, urtando contro la ceramica e persino il mio occhio inesperto, passando dalla ciotola del ripieno alla sterminata distesa di maccheroni, grandi ciascuno più o meno …che so …diciamo come il piede della statua crisoelefantina di Zeus a Olimpia, una delle famose sette meraviglie del mondo antico… il mio occhio dicevo non può non cogliere la sperequazione tra la pur non modesta quantità del ripieno e le voragini beanti in attesa di fagocitare il composto di carciofi, besciamella, prosciutto e mozzarella.
Votata al sacrificio, unisco al miscuglio anche la besciamella che avevo tenuto da parte per nappare la preparazione – una goccia nell’oceano -e inizio a riempire quelli che sembran quasi i gusci delle conchiglie che, per restare in tema cinematografico, si vedevano nei vecchi films di genere “tropicale”in mano a bronzei indigeni, che li usavano come trombe sullo sfondo di infuocati tramonti tra le palme.
Consapevole dell’inadeguatezza dell’aggiunta, frugo nei meandri del frigo e immolo all’insaziabile pasta zoomorfa un avanzo di ricotta, ulteriori dadini di prosciutto e mozzarella…e qualche lacrima di sconforto e di stanchezza che non riesco a reprimere.
La prima cucchiaiata di ripieno scompare nella spalancata cavità del primo gasteropodone …e precipita giù…solo dopo qualche secondo si sente il tonfo che fa intendere che il composto è arrivato fino in fondo. Nel mio sconforto son stata facile profeta…nemmeno metà dei lumaconi riesco a riempire…be’ proprio riempire no ma insomma…del resto non ce ne starebbero di più nell’elegante pirofila che intendo usare. E allora il resto dei “mostri” viene cacciato in un contenitore sottovuoto, mio marito dice che li mangeremo noi con il ragù , per conto mio avrei dato loro immediata sepoltura nella pattumiera…li aborro!
Continuo la preparazione dicendomi che, in caso di fallimento totale domani preparerò delle tagliatelle con il ragù che ho fatto oggi pomeriggio.
Cuocio una nuova dose di besciamella e la verso sulla pasta… con un risucchio vorticoso la vellutata salsa scompare all’interno dei lumaconi, rigidi e impettiti, anzi, come avrebbe detto la tata “tosti e tesi”, che così, tutti allineati in cerchio nella pirofila, fanno quasi pensare a menhir o megaliti, insomma uno Stonehenge in sedicesimo.
Basta, non sto a tediarvi ancora a lungo: per farla breve ho dovuto ricorrere a espedienti d’ogni genere, più o meno riferibili e leciti per portare a cottura i riottosi gasteropodi, soffocandoli con successive aggiunte di besciamella allungata con brodo, panna …ho cercato di finirli affogandoli nel latte…vabbe’ che la pasta deve essere al dente…ma mica deve spezzarti i denti.
Alla fine son risultati passabilmente cotti…le dimensioni erano quelli della conchiglia botticelliana da cui nasce Venere…due a testa erano una dose assolutamente da abbuffata… il freezer ha accolto, pietoso tutti i superstiti…chissà se mai rivedranno la luce!😆 😆 😆 😆 😆 😆 😆 😆 😆 😆
Alexanna 😆 😆 😆 😆
Booooooooooooona la pasta mista!
A proposito della pentola enorme io ne avevo una che tutti i miei vicini di casa ed amici chiamavano “il Cannibale” perchè ricordava le dimensioni di quelle che, nelle vignette umoristiche, i cannibali adoperano per far bollire due esploratori.
Ogni tanto qualcuno bussava alla porta: “scusa mi puoi prestare il Cannibale?”be’ se insisti… 😆 😆
Il fatto risale ai primi, ormai remoti, tempi del mio matrimonio.
Il mio, già allora non più giovanissimo, principe azzurro era passato sotto la mia giurisdizione culinaria direttamente da quella della sua mamma, che, noncurante della stagione, del clima e d’ogni altro fattore contingente, inesorabilmente gli propinava per cena pastina in brodo.
Un’aggravante di questa abitudine, che già di per se stessa si configurava ai miei occhi come ipotesi di reato, era la circostanza che tale austera refezione veniva consumata alle 18,30, fatto quest’ultimo che già aveva espletato effetti lesivi della mia immagine di nuora allorché, in una tiepida sera di maggio- mentre mi godevo in giardino l’ultimo sole- avevo risposto al “vieni a mangiare” di mia suocera con un “grazie, signora, ma non faccio mai merenda” che, pur scevro da ogni intenzionale intento di sarcasmo (ve lo giuro!) era stato accolto come un proditorio atto d’insubordinazione.
Ma lasciamo stare queste divagazioni e torniamo ai miei esordi coniugalculinari.
Come già in altre occasioni vi ho raccontato, all’epoca, da ex single, finalmente fornita di una cavia stabile cui sottoporre i miei esperimenti alimentari, razziavo in edicola riviste di cucina (Cucina Italiana fissa, più varie altre avventizie) e selezionavo le ricette a mio avviso più entusiasmanti nonché di rapida esecuzione, visto il poco tempo libero concessomi dal lavoro.
E fu così che una sera, su una tavola apparecchiata nei toni del lilla, con cristalli e argenti che scintillavano al lume di candele-infilate in un centrotavola di ortensie -comparve, nelle preziose tazze da consommè del servizio buono (forse non erano proprio adatte, ma volevo tanto usarle!) un potage in sfumatura di colore intonata all’insieme. Per secondo c’erano sogliole alla mugnaia su un piatto guarnito con fiori lilla di erba cipollina, il contorno era radicchio di Treviso ed il dessert gelato di mirtilli. FA VO LO SO (pensavo)!
La messa in scena aveva già un po’ turbato il tapino che, con il suo pragmatismo, avrebbe tranquillamente cenato in cucina, sulle tovagliette all’americana, ma la sua espressione, inizialmente solo perplessa, si sgretolò in una smorfia di pura angoscia alla prima cucchiaiata di crema.
Non ricordo esattamente la ricetta (ma se qualcuno proprio la volesse posso cercarla, era su Cucina Italiana del 1971, aveva come ingredienti base barbabietole rosse e yogurt e non posso, a distanza di tempo, assicurarvi che il mio trovarla gustosa non sia stata solo una forma di legittima difesa.
Posso solo assicurarvi che il mio delitto di “Lesa pastina”fu atrocemente punito.
Infatti, non solo ne fu riportato uno sconsolato e disgustato resoconto alla mia inorridita suocera, che notò immediatamente un forte dimagramento nell’adorato figliuolo, ma, a mio supremo disdoro, la summenzionata signora, il giorno seguente, lasciò, fuori della porta di casa nostra, alla mercé dell’occhio implacabile dei vicini, al cui ludibrio fui impietosamente esposta, un pentolino di brodo, che trovammo sullo zerbino al nostro rientro dal lavoro.
Non c’era ancora il divorzio…ci amavamo…superammo anche questo, eppure, ancora oggi, se parlo ad Ettore della “minestrina lilla”un’ombra di panico vela il sorriso di affettuosa nostalgia e complicità che mi rivolge. -
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