le NOSTRE MASCHERE… ad una ad una!!!!

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Questo argomento contiene 19 risposte, ha 0 partecipanti, ed è stato aggiornato da  nonna Ivana 16 anni, 10 mesi fa.

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  • #163734
    gabriela
    gabriela
    Partecipante

    @mariangela wrote:

    Da noi ha preso una connotazione anche negativa, di persona furba e inaffidabile infatti si dice : Fà mia ol Giupì (non fare il Gioppino, il furbo).

    Si dice anche da noi ma con il significato di: “”Non fare il buffone” oppure come sinomimo di Fa mia ul saltamartin dove saltamartin sta per cavalletta, dunque con il significato di “Non agitarti troppo”.
    D’altra parte la cavalletta in alcune zone del Friuli viene chiamata giupèt pare dall’onomatopea jup che indicherebbe il saltare.

    Cosa voglio dimostrare con questo sproloquio? Semplice… che è molto meglio che la sera io me ne vada a dormire presto, piuttosto che tirar mattina al pc, così evito di… “straparlare” [smilie=015.gif]

    E ora servirebbe un linguista che ci illumini…

    #163735

    alexanna
    Membro

    @gabriela wrote:

    @mariangela wrote:

    Da noi ha preso una connotazione anche negativa, di persona furba e inaffidabile infatti si dice : Fà mia ol Giupì (non fare il Gioppino, il furbo).

    Si dice anche da noi ma con il significato di: “”Non fare il buffone” oppure come sinomimo di Fa mia ul saltamartin dove saltamartin sta per cavalletta, dunque con il significato di “Non agitarti troppo”.
    D’altra parte la cavalletta in alcune zone del Friuli viene chiamata giupèt pare dall’onomatopea jup che indicherebbe il saltare.

    Cosa voglio dimostrare con questo sproloquio? Semplice… che è molto meglio che la sera io me ne vada a dormire presto, piuttosto che tirar mattina al pc, così evito di… “straparlare” [smilie=015.gif]

    E ora servirebbe un linguista che ci illumini…

    ti serve un linguista ?…. eccomi…

    #163736
    gabriela
    gabriela
    Partecipante

    @alexanna wrote:

    ti serve un linguista ?…. eccomi…

    Sapevo di poter contare su di te [smilie=107.gif]

    #163737

    la bob
    Membro

    Arlecchino è una famosa maschera bergamasca della Commedia dell’Arte.

    Da Wikipedia:
    Sulle origini di questo personaggio, e del suo nome (conosciuto a livello planetario) si è molto disquisito: ciò che si sa per certo è che ad un certo momento della storia della commedia dell’arte appare come un alter ego dello Zanni, cioè il servo inurbato, antica maschera della commedia della quale il personaggio di Arlecchino è l’evoluzione.

    La carriera teatrale di Arlecchino nasce a metà del cinquecento con l’attore di origine bergamasca Alberto Naselli noto come Zan Ganassa che porta la commedia dell’arte in Spagna e Francia sebbene fino al 1600 – con la comparsa di Tristano Martinelli – la figura di Arlecchino non si possa legare specificatamente a nessuna attore.

    L’origine del personaggio è invece molto più antica, legata com’è alla ritualità agricola: si sa per certo, infatti, che Arlecchino è anche il nome di un demone ctonio. Già nel XII sec. Orderico Vitale nella sua Historia Ecclesiastica racconta dell’apparizione di una familia Herlechini, un corteo di anime morte guidato da questo demone/gigante. E allo charivari sarà associata la figura di Hellequin. Un demone ancora più noto con un nome che ricorda da vicino quello di Arlecchino è stato l’Alichino dantesco che appare nell’Inferno come capo di una schiatta diabolica.

    La stessa maschera seicentesca evoca in maniera abbastanza palese il ghigno nero del demonio presentando il resto di un corno perso dal diavolo nel suo aspetto più umanizzato.

    Quanto alla radice del nome, è di origine germanica Hölle König (re dell’inferno), traslato in Helleking, poi in Harlequin , con chiara derivazione infernale.

    Ma il particolare che accomuna tutti gli Zanni della Commedia dell’Arte è lo spirito villanesco, alle volte arguto (come il seicentesco Bertoldo di Giulio Cesare Croce), ma più spesso sciocco, ovvero quello del povero diavolo, come nei servi delle commedie sin dall’epoca di Plauto, attraverso le commedie erudite del Quattro-Cinquecento, sino alle commedie alla villanesca di Angelo Beolco, che attorno al primo Cinquecento metterà in scena le sventure del contadino Ruzante.

    Questa tipologia di personaggi sono legati tra loro dalla ritualità rurale e, attraverso i suoi miti legati alla sfera ctonia, da elementari passioni che si potrebbe definire più bestiali che umane.

    Già durante il medioevo, del resto, un certo aspetto di comicità appare con demoni che si aggiravano sulle scene delle sacre rappresentazioni: questo era da un lato probabilmente un tentativo di esorcizzare le paure del soprannaturale, ma anche di mettere in burla il potere dei demoni pagani della terra che erano ancora molto presenti nell’immaginario popolare, soprattutto nelle campagne, ed esercitavano ancora un grosso potere che l’ascesa del cristianesimo non era riuscito a sradicare.
    Lo stesso Alichino della Divina Commedia, cui si è accennato in precedenza, eredita – giocoforza – questo tratto burlesco.

    Arlecchino nella commedia
    Arlecchino approda nei palcoscenici al tempo dei cantimbanchi, dei cerretani e simili che hanno percorso le piazze e le fiere italiane sin dal Medioevo.
    Lo Zanni dei cerretani è presente in molte raffigurazioni (es. l’incisione della Fiera dell’Impruneta di Jacques Callot) sia anteriori che posteriori alla sua nascita come personaggio della Commedia dell’Arte.
    Arlecchino è un personaggio diretto discendente di Zanni dal quale eredita la maschera demoniaca (sebbene spesso la maschera di Zanni è stata rappresentata bianca) e la tunica larga del contadino veneto-bergamasco.
    Infatti la prima incisione di Arlecchino, che si trova nel libro Composition de Réthorique, di Tristano Martinelli, forse il primo Arlecchino o il primo attore che impose una forte presenza scenica a questo personaggio, porta ancora la tunica larga con molto bianco e alcune pezze colorate sparse.

    Ma già sin dalle incisioni della Raccolta Fossard, precedenti a Martinelli, Arlecchino appare invece con un vestito molto aderente quasi una calzamaglia; da questo alcuni deducono che Arlecchino discenda direttamente dai giocolieri di strada che notoriamente avevano il costume attillato.

    #163738

    nonna Ivana
    Membro

    Grazie Roberta!!

    Fa bene conoscere le rispettive maschere, che reggono ancora, che tramandano la favolosa epoca della Commedia dell’Arte Italiana!!!

    #163739
    Dida
    Dida
    Partecipante

    La parola Meneghino (in milanese Meneghin) è un diminutivo del nome Domenico (milanese Domenegh e Menegh). È una maschera della Commedia dell’arte che si identifica con la città di Milano. Di origini incerte (all’inizio era Meneghin Pecenna “parrucchiere pettegolo”), venne introdotta in teatro nel ‘600 da Carlo Maria Maggi, che gli ha dato l’immagine del personaggio popolare, giunta fino ai giorni nostri. Più avanti Carlo Porta ha contribuito ad aumentarne la popolarità fino alla metà dell’ottocento, epoca in cui Meneghino è diventato simbolo dell’animo patriottico milanese, contro la dominazione asburgica.

    Nel Carnevale Ambrosiano, è accompagnato da un’altra maschera popolare milanese, moglie di Meneghino: la Cecca di Berlinghitt, diminutivo dialettale di Francesca (“birlinghitt” vuol dire “fronzoli, nastri, guarnizioni); essa forniva al marito quanto era necessario per le
    occasionali clienti. È la classica moglie sorridente e volonterosa, che s’industria come può per aiutare il marito: la “classica” coppia milanese che, con fantasia, volontà, sacrificio e spirito imprenditoriale, riesce sempre a far quadrare i conti di casa. La particolarità della maschera milanese è il suo essere l’unica fra tutte le maschere a non portare la… maschera, e questo a dimostrazione della sua autenticità e onestà.

    L’affermazione di Meneghino come simbolo di Milano è relativamente recente, in precedenza il personaggio milanese per eccellenza era Beltrame (Baltramm de Gaggian, importato quindi dal contado: Gaggiano è una località della Bassa Milanese). Il Baltramm è una maschera di origine milanese nata nel Cinquecento, spesso conosciuto anche con il soprannome di “de la Gippa”, per via della ampia casacca che solitamente indossa, rappresenta il personaggio del contadino stolto e fanfarone, capace solo di commettere grandi stupidaggini, volendosi mostrare più signore di quanto non sia. Nel corso del ‘600 Beltrame impersonava tutte le parti di marito e veniva caratterizzato come un “compare furbo e astuto”. Secondo la tradizione il personaggio deve la sua nascita all’illustre attore Nicolò Barbieri (Vercelli, 1576) che fece parte della Compagnia degli Accesi al servizio del Duca di Mantova. Rimasto per molto tempo la maschera milanese per antonomasia, lascerà in seguito il posto a Meneghino.

    Anche il Baltramm ebbe un predecessore e fu il Lapoff, una specie di Pierott cittadino; infatti vestiva di bianco, con grossi bottoni neri per chiudere la giubba: “himm più gross i botton del Lapoff”, disse il poeta milanese per eccellenza, Carlo Porta, per indicare certe michette.

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