Nei giorni 8 e 9 Novembre sarà celebrata la Festa di San Martino in strata, consolidata consuetudine del territorio. Il territorio in questione fa parte della terraferma Veneziana, precisamente Campalto, una volta importante punto di collegamento tra la terraferma e la Serenissima, adesso quartiere del comune di Venezia, che però vuole conservare ben vive alcune delle sue tradizioni.
In tale occasione, come ogni anno, verrano ricordate le usanze legate a San Martino, ma anche alle tradizioni contadine.
Chi era San Martino?
In tutto il mondo occidentale San Martino di Tours è ricordato l’11 Novembre e sembra che nel Sinodo di Macon (585 d. C.) fosse stata decretato che questa festa dovesse addirittura non essere lavorativa, proprio in considerazione della venerazione per il santo. San Martino è infatti tra i santi più importanti non solo del cattolicesimo, ma della cristianità tutta.
Nato in Pannonia (l’odierna Ungheria) si trasferisce ancora fanciullo a Pavia, dove viene a contatto con la religione cristiana e comincia il suo cammino religioso. Però i suoi genitori sono contrariati dalla sua scelta e volendo per lui la stessa carriera del padre (militare di carriera), approfittando delle disposizioni vigenti, lo fanno arruolare ancora quindicenne nell’esercito.
Una volta nell’esercito, viene trasferito in Gallia, prima a Reims poi ad Amiens. Ed è proprio ad Amiens che, durante una delle ronde notturne, ha luogo l’episodio più famoso e più raccontato tra tutti quelli che hanno costellato la sua vita. Si narra che Martino, non ancora convertito, durante una delle ronde di un inverno eccezionalmente rigido, vede passare un mendicante malmesso, che chiede l’elemosina.
Avendo donato in precedenza ciò che aveva, Martino non esitò a tirare fuori la spada e a dividere in due il suo caldo mantello, per donarne metà al mendicante. Quella stessa notte in sogno ebbe la visione di Gesù con indosso il suo mantello che si rivolge agli angeli con queste parole “Ecco qui Martino, il soldato romano che non è battezzato: egli mi ha vestito!”. Successivamente avviene la conversione al cristianesimo, l’abbandono della carriera militare per la veste di monaco e ha inizio la sua opera di evangelizzazione, sempre umile tra gli umili, vicino ai poveri, soprattutto ai contadini. Pur essendo morto l’8 di Novembre, viene ricordato il giorno in cui la sua salma venne infine tumulata, l’11 novembre appunto. Questa data probabilmente non venne scelta a caso, poiché è una data fondamentale sia nella tradizione cristiana e cattolica sia nel mondo rurale e nelle sue tradizioni.
Nella tradizione cristiana e cattolica questa data rappresentava infatti il penultimo giorno prima dell’inizio del periodo di penitenze e digiuni che precedevano il Santo Natale, mentre per il mondo contadino questa data rappresentava la fine dell’anno agricolo, nonché la data della svinatura (veniva infatti spillato il vino novello dalle botti) e l’inizio del ciclo invernale.
Perché la festa di San Martino viene ricordata anche come l’estate di San Martino?
Dell’episodio del mantello sono state riportate diverse versioni, tra queste quella che una volta donata la metà del suo mantello al mendicante, il sole cominciò a risplendere forte come fosse estate. In realtà, spesso è proprio in questo periodo che si osservavano pochi giorni di tempo bello e tiepido, subito dopo le brume autunnali e poco prima delle gelate invernali. E’ perciò probabile che l’osservazione dei fenomeni naturali nel mondo agricolo e le consuetudini contadine si integrassero in maniera profonda con la venerazione del Santo.
Sempre in questo periodo, come si diceva poc’anzi, si spillava il vino novello dalle botti e si festeggiava accompagnando il vino con i frutti della stagione, quali ad esempio le castagne. Ecco perché ancora oggi in tale ricorrenza si servono caldarroste e vin brulé, a ricordare le passate tradizioni contadine.
Oltre ad essere l’inizio del ciclo invernale, l’11 Novembre segnava anche la fine dei contratti agricoli. Infatti in tale data i mezzadri preparavano le loro masserizie e lasciavano la loro mezzadria al signore del podere; se questi decideva di rinnovare il contratto, ritornavano nella loro casa a festeggiare con i prodotti di stagione, altrimenti dovevano traslocare. Ed ecco come è nata l’espressione “Faxemo San Martin” ovvero “Fare San Martino”, che indicava appunto il trasloco dei mezzadri. Dai traslochi del mondo rurale, anche nelle città divenne consuetudine cambiare casa nel periodo di San Martino e l’utilizzo dell’espressione “Fare San Martino” dalle campagne arrivò nelle città.
Perché a San Martino si mangia l’oca?
Anche in questo la tradizione contadina si intreccia a doppio filo con la leggenda riguardante il Santo. Si narra infatti che il Papa volesse a tutti i costi nominare vescovo Martino, il quale invece molto umilmente non desiderava occupare posizioni importanti, poiché voleva dedicare la sua vita alla preghiera, all’evangelizzazione e all’aiuto dei poveri. Allora Martino si nascose in un convento sperando che nessuno lo potesse scovare. C’erano però delle oche, che si sa sono animali molto chiassosi. Le oche fecero un tale baccano con i loro “qua qua”, che alla fine Martino venne scoperto. E divenne vescovo. Da allora ogni anno, a ricordare il “tradimento” delle oche, un’oca veniva arrostita. Nella tradizione contadina, l’11 Novembre si chiudevano vecchi contratti agricoli, ma se ne aprivano anche di nuovi. Va detto che l’oca rappresentava, assieme al maiale, la riserva di grassi e proteine durante il periodo invernale del povero contadino, il quale si cibava quasi esclusiamente solo di cereali e di grandi polente. Nel Medioevo, inoltre, l’oca veniva allevata anche nei conventi e nei monasteri, come aveva decretato Carlo Magno. L’oca divenne perciò una preziosa e fondamentale merce di scambio. I fittavoli ed i mezzadri spesso pagavano la pigione al nobile possidente con un’oca; i contadini portavano alle fiere, che venivano organizzate in tale periodo, le loro oche per barattarle con altre merci, quali ad esempio capi di vestiario. A tale proposito, famosa è la “Fiera delle oche e degli stivali”, che si svolge a S. Andrea di Portogruaro e che conserva la memoria dei baratti tra contadini e mercanti. Inoltre, considerato che in questo periodo aveva inizio il ciclo invernale, gli uccelli migratori, come le oche selvatiche muovevano verso sud e nelle zone di passo, come appunto la Laguna di Venezia, era più facile cacciarli proprio in questo periodo. L’oca, che fosse selvatica o meno, veniva spesso arrostita e accompagnata da vino novello e castagne. Molti dei detti popolari hanno origine da queste usanze. Tra questi ricordiamo “Oca, castagne e vino, tieni tutto per S.Martino” ed il veneto “Chi no magna oca a San Martin no’l fa el beco de un quatrin”, ovvero “Chi non mangia oca a San Martino non guadagna nulla, perché non fa nuovi affari probabilmente!
Va però anche ricordato che sempre in questo periodo, soprattutto nel Veneziano, i popolani più poveri andavano in giro di casa in casa e, porgendo il grembiule vuoto, cantavano: “In sta casa ghe xe de tuto, del salame e del parsuto, del formagio piasentin viva viva San Martin!” (In questa casa c’è di tutto, del salame e del prosciutto, del formaggio piacentino viva viva San Martino), con la speranza di ricevere qualcosa, ricordando il gesto caritatevole di San Martino verso il Mendicante. Inoltre, i festeggiamenti per i nuovi affari o per il rinnovo del contratto avvenivano spesso per le strade ed erano accompagnati, oltre che dall’oca arrosto, da bicchieri di buon vino novello e da castagne arrosto, anche da canti, spesso anche a squarciagola viste le abbondanti libagioni. Spesso, coloro che festeggiavano in strada non si limitavano a cantare, ma facevano ogni sorta di rumore pur di convincere chi era in casa a donare loro altro vino e altre castagne. E chi era in casa, sia per gesto di bontà sia perché non ne poteva più del baccano, donava! Ed ecco perché si dice “battere il San Martino” e tale usanza è rimasta ancora oggi.
A Campalto questa tradizione è mantenuta grazie all’operato degli anziani delle associazioni del territorio, che coaudiavati da alcune volenterose mamme e nonne, in questa occasione offrono ai bambini che “battono il San Martino” caldarroste e cioccolata calda.
In terraferma, inoltre, è usanza che qualcuno, generalmente un bambino, si travesta da cavaliere con mantello e spada e a cavallo vado a visitare le scuole, a sottolineare quanto profondamente legata alla tradizione sia la figura del Santo a Cavallo.
Perché in questa occasione si regala il “San Martino”?
Innanzitutto, va detto che è tradizione regalare a San Martino dei dolci. Nella tradizione di Venezia e della sua terraferma, si regala un biscotto di pasta frolla, raffigurante il santo a cavallo sempre con mantello e spada, decorato con glassa o cioccolato (ma questa è una tradizione già più moderna!) e con confettini colorati o altri dolciumi. Ma questa usanza nasce dal regalo che si scambiavano i fidanzati (i morosi), poiché proprio nel periodo di contratti legati al mondo agricolo, spesso si scambiavano promesse di matrimonio e si dava inizio al fidanzamento ufficiale. La tradizione si è poi evoluta passando dai fidanzati ai bambini, che si divertono moltissimo anche a decorare il proprio biscotto con ogni tipo di leccornia (smarties e marshmallows inclusi!).
Tutte queste usanze saranno fatte rivivere proprio nella prossima festa, che come ogni anno vedrà anche sfilare tra i banchi gentili volontari vestiti con gli abiti della tradizione contadina. I vestiti, come poi anche alcuni strumenti agricoli che si potranno ammirare in tale occasione, appartengono al Museo della Tradizione, che è situato presso la Scuola Don Milani del Villaggio Laguna.
Questa festa diventa perciò l’occasione importante per sottolineare ancora una volta il legame tra il nostro territorio, la festa religiosa e le usanze del mondo agricolo, che non c’è più, ma del quale è fondamentale conservare memoria.
Buon San Martino a tutti!
La festa si è svolta lo scorso fine settimana ed ha avuto un grandissimo successo, con i giochi tradizionali per i bambini, le bancarelle di ogni sorta per piccini e adulti, caldarroste, torbolino e novello a volontà, cicchetti e ombre e mille altre cose ancora. Speriamo che la tradizione rimanga viva!
Le fonti di questa ricerca sono presenti sul web, tra queste
http://www.comunitasanmartino.it/s_Martino.htm
http://www.ilpaesedeibambinichesorridono.it/san_martino.htm
Questo articolo è già stato pubblicato (autrice la sottoscritta) nel giornale della Parrocchia SS. Martino e Benedetto (Venezia-Campalto)
Testo di Fabiana Corami