Moltissimi sono in Italia, ma anche in altre nazioni, specie nell’area mediterranea, i riti che si svolgono nella settimana che precede la Pasqua, tutti intensamente suggestivi ed accompagnati dalla devozione popolare.
Col tempo, tuttavia, il fervore religioso, l’interesse per la tradizione si fan meno sentiti, la partecipazione è meno corale, più sporadica.
Ciò non accade, però nella città di Molfetta, dove la fine della Quaresima coincide con un fiorire di manifestazioni vissute ancor oggi dalla cittadinanza con appassionato interesse e ricordate con accorata nostalgia da chi, lontano vorrebbe poter tornare a percorrere le vie della sua città al seguito delle processioni della Settimana Santa, respirando la brezza salmastra che spira dal mare e il tepore primaverile di un clima incredibilmente mite.
Sarà probabilmente un retaggio della dominazione spagnola, ma in molte di queste cerimonie si ritrovano innegabili similitudini con la più celebre “Semana Santa” di Siviglia.
Già nel venerdì precedente la domenica delle Palme una prima cerimonia invita i fedeli a meditare sulla Passione del Cristo: dalla chiesa dedicata alle Anime del Purgatorio, in fondo all’ampia strada che dal Porto sale verso il centro della città, alle 17 in punto, protetta da un baldacchino nero bordato d’oro, sorretto dai Confratelli della Confraternita della Morte dal Sacco Nero – così chiamati dalla tonaca e dal cappuccio nero che indossano – la statua della Madonna, vestita di nero in segno di lutto, con una spada che le trafigge il cuore ed un bianco fazzoletto di trina in una mano per tergersi il pianto, viene condotta, a spalle per le antiche vie della città, in cerca del Figlio, preceduta da ” ‘o tammurre” un piccolo gruppo di musicanti – un flauto, una grancassa, una tromba e un tamburo- che suonano una funebre nenia orientaleggiante detta, dal suono delle prime note “Ti-té” che non manca di commuovere anche solo a ricordarla.
La statua dal dolcissimo volto viene seguita, nel suo peregrinare, dalle Figlie di Maria Addolorata e dai Confratelli della Morte che illuminano il suo cammino con i ceri accesi e avanzano lentamente, al suono della sconsolata melodia “Lo sventurato”, fino alla mezzanotte, quando l’ Addolorata Madre rientra nella chiesa da dove è uscita.
Già dal giorno precedente, nelle strade cittadine iniziano i concerti della banda, con toccanti Marce Funebri, parte integrante delle celebrazioni, musiche antiche, di infinita suggestione, in gran parte di autori locali, come ” ‘u conzasiegge”, così detta perché ispirata al grido di un ambulante riparatore di sedie, ma anche di artisti universalmente noti come Rossini con il suo Stabat Mater o Chopin, Verdi, Petrella.
La gente vi assiste, assorta, con accorata partecipazione, con sentimento, con un sincero risveglio di fede.
Poi, la Domenica delle Palme, la Confraternita della Morte dal Sacco Nero e la Confraternita di S. Stefano, dal Sacco Rosso, con saio marrone e cordiglio e feluca rossi, sorteggiano tra gli iscritti alle confraternite,che porteranno a spalle le statue durante le processioni della Settimana Santa, i privilegiati a cui assegnare l’ambito compito. Prima dell’estrazione a sorte si procede alla “misurazione” per formare coppie di pari altezza, in modo da non creare squilibri tra i portatori che sorreggeranno, due per parte, le quattro stanghe ai lati delle statue.
S’arriva quindi al Giovedì Santo, con la visita ai Repositori, detti popolarmente Sepolcri, ornati di fiori, di piante e di “piatti del sepolcro” piatti portati dai fedeli che vi han fatto germogliare dei semi su una falda di cotone bagnato, al buio, in modo che i germogli diventino alti e di un verde pallidissimo, legati poi con nastri colorati. Il Sepolcro più suggestivo è quello allestito nella chiesa del Purgatorio, le cui porte restano spalancate in modo che fin dal porto si possano scorgere, all’interno le statue delle Pie Donne, di S. Pietro, di S. Giovanni e la statua della Pietà, addobbata, nel pomeriggio, dalle Figlie di Maria con la veste processionale.
Queste statue in cartapesta sono opere della prima metà del Novecento dello scultore locale Giulio Cozzoli, quelle raffiguranti i momenti della Passione del Cristo sono invece cinquecentesche, in legno, di scuola veneziana e sono custodite nella piccola chiesa di S. Stefano, nei pressi del porto.
Alle tre della notte del Venerdì Santo s’entra nel vivo delle celebrazioni : dalla chiesa di Santo Stefano, a passo lento e cadenzato, scandito dalle dolenti note delle Marce Funebri, s’avvia il mesto corteo che ricorda la Passione di Cristo. Per prima avanza una statua sul cui basamento viene montato un frondoso albero d’olivo (intorno la campagna è tutta un oliveto), carico di frutti, accanto a Gesù in preghiera nell’orto del Getsemani, seguono le statue di Gesù legato alla colonna, l’ Ecce Homo, coronato di spine, Gesù che si avvia al Calvario con la croce sulle spalle ed il Cristo Morto.
Nella notte illuminata dai ceri e dalle luci accese nelle case, ai cui balconi la gente, destata dal sonno, s’affaccia in raccoglimento e preghiera, la processione avanza piano, solennemente percorrendo un lungo itinerario che riporterà le statue ed i fedeli alla chiesetta di S. Stefano solo alle ore tredici. Lungo il tragitto s’alternano, a reggere il peso delle statue, gli iscritti alle varie Confraternite, mentre i fedeli seguono, ciascuno a seconda del tempo e della devozione, per tratti più o meno lunghi.
Una gran folla partecipe e commossa si accalca all’ingresso della chiesa, per assistere al rientro della processione. In quel momento le statue vengono girate per mostrarle ancora una volta ai presenti e passano, infine sotto un nero baldacchino, sorretto dinnanzi al portale.
E mentre le emozioni della lunga notte e della mattinata e quelle di una solenne Via Crucis della serata del venerdì sono ancora vive, la mattina del Sabato Santo s’apre con un’altra suggestiva processione, che parte, questa volta, dalla chiesa del Purgatorio.
Alla moltitudine di persone assiepate per assistere al passaggio della processione appare, per prima la statua di S. Pietro, che, con il palmo della mano si batte la fronte, sentendo il canto del gallo e ricordandosi di aver, come predetto, per tre volte rinnegato Gesù. Di seguito è portata fuori della chiesa la statua della Veronica, con il panno con cui ha asciugato il volto del Cristo e sul quale è rimasta impressa l’immagine del Signore. La corona di spine e i chiodi del martirio vengono portati tra le mani da S. Maria Salomè, mentre S. Maria di Cleofa reca gli oli per la tumulazione. Dietro queste Pie Donne, la Maddalena, peccatrice pentita, raffigurata dapprima in una statua con un seno scoperto di cui fu però chiesta subito la modifica allo scultore.
Alla statua di S. Giovanni segue quella della Pietà, La Madonna, vestita di nero con il cadavere del Figlio tra le braccia, circondata da un pathos e da una devozione quasi tangibili che culminano nella serata quando alla “Ritirata” la processione, dopo oltre nove ore di cammino, ritorna, tra fumi d’incenso e le note delle Marce Funebri, nella chiesa del Purgatorio.
La settimana di Passione è compiuta, c’ è appena il tempo di avviarsi alla celebrazione del rito della Resurrezione.
Tra un anno tutto ricomincerà:la devozione del lento seguire il corteo, il raccolto risuonare delle Marce Funebri, l’emozione dei bimbi e delle bimbe vestiti da Angioletti, Veroniche, S. Giovanni, Centurioni, Paggetti, che han seguito, un po’ frastornati le processioni per mano al papà o alla mamma. Torneranno anche i panini col tonno o la cioccolata calda che, come d’uso, servono a rifocillarsi all’alba dopo la notte passata in processione, il calzone del Venerdì santo col pesce e le cipolle, la scarcella, tipico dolce pasquale con le uova fermate da una croce di pasta, il benedetto, piatto beneaugurante.
E torneranno, almeno col ricordo, se non sarà possibile altrimenti, tutti i cittadini lontani da Molfetta per seguire, col tradizionale passo cadenzato, sul ritmo accorato delle Marce Funebri, il Cristo sulla via del Calvario.
Ecco, forse per stemperare la troppa commozione, qualcuno ricorderà anche l’ aneddoto tramandato nel tempo che, con arguzia popolare, attribuisce a due Confratelli al seguito della processione una personale variazione nel recitare un Responsorio. Pare infatti che uno dei due, passando per una stretta stradina, accanto ad una macelleria, avesse arraffato un tacchino, celandolo sotto la veste, l’amico, avendolo scorto lo avvertiva salmodiando:
-“Flisc, abbàsct ‘ u chéms
ca par la cap d’ u vicc”
-“pur’è buon ca me si avvsàt
ci se no avev avè mazzàt”
(Felice, tira giù la tonaca
poichè si nota la testa del tacchino)
(meno male che mi hai avvertito
altrimenti sarei stato picchiato)
Testo di Ofelia Allegretta